Il 24 dicembre 2020, dopo quasi cinque anni dall’inizio di questo processo, è stato finalmente raggiunto un accordo tra Unione Europea e Regno Unito sulla Brexit. La notizia è stata accolta, da una parte, con grande entusiasmo perché eliminava la latente minaccia di una “Hard” Brexit, o No Deal Brexit, dall’altra con rammarico per la natura di compromesso dell’accordo stesso. Analizziamo, quindi, alcuni punti focali del Deal che è stato firmato.
Accordi commerciali, Fair Competition e Standard
Dal punto di vista di accordi commerciali, tra l’Unione Doganale Europea e il mercato britannico è stata istituita una free trade area, che prevede la circolazione di beni senza tariffe e controlli alla frontiera. Questo risolve almeno parzialmente il problema irlandese, che era risultato il punto di blocco in varie fasi del negoziato: l’Unione Europea, infatti, era garante del Good Friday Agreement, che prevedeva l’assenza di frontiere tra Irlanda e Ulster per risolvere il terrorismo politico insorto nella seconda metà del novecento. Questo però impone a entrambi gli attori di riconoscere le normative sui prodotti dell’altro, scelta alquanto complicata per l’unione che ha sempre fatto vanto delle sue norme particolarmente severe, e infatti l’accordo raggiunto prevede la possibilità di imporre tariffe nel caso uno dei due blocchi provasse ad avvantaggiare troppo le proprie imprese tramite regolamenti flessibili. In tal caso, il blocco offeso ha la possibilità di introdurre tariffe dopo un processo giuridico presso un tribunale indipendente (e non la CdGUE, che era uno dei motivi originali della Brexit). Inoltre, è importante menzionare che l’UE ha annunciato controlli molto più serrati sui prodotti agro-alimentari provenienti dal Regno Unito.
Confini
Una delle grandi sconfitte subite dai brexiters più convinti è arrivata proprio in Irlanda, in quanto il confine “doganale” tra UK e Eire si trova non sull’isola ma nel canale irlandese, lasciando una giurisdizione europea sull’Ulster. A questo si unisce l’ingresso del territorio di Gibilterra nell’area Schengen e una sua simile situazione regolatoria.
Spostamenti tra UE e UK
Lo spostamento di persone tra Paesi dell’Unione e Regno Unito subirà solo parziali modifiche. Infatti, sarà richiesto un visto solo per soggiorni superiori a 90 giorni, ma non sarà più possibile passare la frontiera con un Carta d’Identità europea, bensì sarà necessario l’utilizzo di un passaporto. Inoltre, il governo britannico non ha escluso l’aumento dei controlli sui cittadini dell’Unione. Per quanto riguarda chi si trasferisce per trovare lavoro, i cittadini inglesi non godranno più di pari trattamento rispetto ai cittadini europei e viceversa. I britannici in Europa e gli europei in UK saranno trattati come “cittadini stranieri” e saranno soggetti alle regole sul lavoro locali. Per quanto riguarda le compagnie aeree inglesi, non sarà più loro permesso di volare all’interno dell’Unione Europea, ovvero tra due aeroporti europei. Una facile soluzione a questo problema, già utilizzata da compagnie come EasyJet, è la creazione di società consociate europee che possano garantire le attuali tratte.
Pesca
Per quanto riguarda la pesca, le compagnie europee avranno accesso garantito alle acque del Regno Unito per cinque anni e mezzo. La durata di questo periodo è stata decisa tramite compromesso: l’Unione Europea voleva più tempo, l’UK meno. In più, i contingenti di pesca dell’Unione Europea nelle acque britanniche, che al momento equivalgono a circa €650 milioni (£595 milioni) all’anno, verranno ridotti del 15% durante il primo anno e poi del 2.5% all’anno fino alla scadenza del periodo di transizione, per una riduzione totale del 25%. Secondo le stime, nel 2026, il Regno Unito avrà diritto a £145 milioni (€158 milioni) in quote di pescato extra “sottratte” all’UE. Al termine di questo periodo di transizione, l’eventuale accesso dovrà essere negoziato annualmente, sia per i pescherecci europei in acque britanniche che per i pescherecci britannici in acque europee, con un meccanismo molto simile a quello già utilizzato dell’Unione con la Norvegia. Qualora il Regno Unito decidesse di non concedere l’accesso alle sue acque alle navi europee, l’Unione Europea potrà prendere alcune contromisure, tra cui l’imposizione di dazi sul pescato (e non solo) che compensino il danno economico e l’esclusione dell’UK dal mercato dell’energia europeo. I Paesi europei più colpiti da questa riduzione delle quote saranno Francia, Danimarca e Paesi Bassi. Infatti, ognuno di questi al momento pesca più di 100,000 tonnellate di pesce nelle acque britanniche.
Dati personali
L’accordo che è stato firmato negli ultimi giorni non contiene alcuna sezione specifica relativa all'enorme quantità di dati personali che si muovono tra Unione Europea e Gran Bretagna. Le due parti, infatti, si sono concesse sei mesi di tempo per trovare una soluzione definitiva. Al momento, i regolamenti britannici sono in linea con quelli europei, elemento su cui cercano di fare leva i negoziatori del Regno Unito per ottenere una adequancy decision, ovvero il riconoscimento di un adeguato livello di rispetto degli standard sulla protezione dei dati dell’Unione Europea. Il lato europeo dei negoziati, però, teme in una deriva rispetto a questi standard una volta che la Gran Bretagna sia uscita a tutti gli effetti dall’Unione.
Altri settori
Tra i settori britannici che maggiormente beneficeranno di questo accordo, citiamo quello del commercio al dettaglio, dove un No Deal avrebbe comportato per i consumatori britannici un aumento complessivo della spesa di circa £3.000 miliardi, e quello chimico, che avrebbe rischiato di dover affrontare tariffe fino a £1.000 miliardi.
Professionisti
Un’importante sconfitta per la Gran Bretagna è quella riguardante i professionisti che forniscono servizi. Con l’attuale Deal, medici, infermieri, veterinari, ingegneri, architetti e molti altri professionisti non si vedranno riconosciuti i propri titoli a livello paneuropeo, ma dovranno invece ottenerne il riconoscimento presso i singoli Stati membri dove desiderino lavorare.
Studenti
Per quanto riguarda l’istruzione, gli accordi prevedono un'uscita del Regno Unito dal programma Erasmus, e inoltre la perdita di status paritario degli studenti europei presso le università britanniche e vice versa. Questo processo porterà inevitabilmente a una riduzione dei flussi di studenti, specialmente verso il regno unito, in quanto verranno applicate tasse scolastiche extra-comunitarie significativamente maggiori
L’unico effetto positivo di questa decisione è stata la risposta dell’Irlanda. Il governo della Repubblica d’Irlanda, infatti, si è dichiarato pronto a sostenere i costi del programma Erasmus per la controparte del Nord, permettendo di fatto agli studenti di questa di perdere molti dei vantaggi di cui hanno goduto finora.
Cosa manca nel Deal
Al momento non prevede una sezione sui servizi finanziari, la cui regolamentazione post-Brexit dovrà essere sancita da un accordo separato negoziato nel prossimo futuro. Non preso in considerazione da questo accordo è anche l’"European Arrest Warrant” (EAW) o Mandato Europeo d’Arresto (MEA), ovvero il procedimento giuridico che fa sì che un mandato d’arresto emesso in uno dei Paesi membri sia valido anche in tutti gli altri, con la conseguenza di una facile procedura di estradizione tra Paesi UE. Non è ancora stato chiarito come verrà sostituito.
Il risultato di questo accordo è tale da non soddisfare le aspettative di nessuna delle parti in causa, i "Brexiters” e i Remainers”, in quanto l’accordo finale è ben lontano dalle richieste iniziali degli “hardliners”, come rilevato dal Movimento Europeo Giovanile UK in un loro comunicato rilasciato dopo l’uscita del testo completo. Inoltre rimangono numerosi vuoti, quello sui servizi finanziari in primis, e zone d’ombra da chiarificare una volta entrati in vigore gli accordi. Sul fronte interno, questo accordo rischia di dividere irreparabilmente il Regno Unito, rilanciando i fuochi d’indipendenza in Scozia e aprendo a una riunificazione dell’Irlanda. Questo è stato subito confermato da un’intervista rilasciata dal primo ministro scozzese Nicola Sturgeon il 1° gennaio 2021, nella quale traspare una forte volontà del governo scozzese di tornare nuovamente alle urne per un referendum. Rimane solo poco chiaro se il parlamento inglese sia disposto a una nuova cessione di sovranità per permettere una ripetizione del referendum del 2014.
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